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La tragedia di Gigi Meroni, la “farfalla granata “investito da Attilio Romero futuro presidente del Torino

Luigi Meroni, detto Gigi (Como, 24 febbraio 1943 – Torino, 15 ottobre 1967), è stato un calciatore italiano, di ruolo ala.

Morì a 24 anni – poco dopo la fine di una partita tra il Torino, squadra in cui giocava, e la Sampdoria – investito da un’auto, mentre attraversava corso Re Umberto, a Torino, insieme al suo grande amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti.

Disputò 145 partite in Serie A, realizzando 29 reti.

Caratteristiche tecniche

l’uomo della domenica Gigi Meroni

Ala destra, giocava con il numero 7. Paragonato a George Best per la sua fantasia, l’estro e la sua somiglianza fisica, i suoi punti di forza erano la velocità e il dribbling imprevedibile, con cui spiazzava i difensori avversari, arrivando spesso a tu per tu con il portiere.

Cominciò a giocare a calcio in un piccolo cortile di 60 metri quadrati, per poi passare al campo dell’Oratorio di San Bartolomeo a Como.

Dall’età di 2 anni era orfano di padre e la madre Rosa, di professione tessitrice, aveva difficoltà economiche nell’allevare i tre figli, Celestino, Luigi (detto Luigino, poi anche Gigi) e Maria.

Come primo lavoro fece il disegnatore di cravatte di seta e si dedicò anche alla pittura.

Cresciuto calcisticamente nelle formazioni giovanili del Como, dopo avere esordito in prima squadra, in serie B, venne ceduto al Genoa, i cui dirigenti erano rimasti impressionati, dopo averlo visto giocare da avversario.

A Genova s’impose definitivamente all’attenzione nazionale: le sue serpentine e i suoi gol trascinarono la squadra, allenata da Benjamín Santos, all’8º posto in classifica e alla conquista, per la 2ª volta, della Coppa delle Alpi, nell’anno in cui venne stabilito anche il record di imbattibilità dal portiere genoano Mario Da Pozzo.

Nell’estate 1964, nonostante la mobilitazione della tifoseria genoana per trattenerlo, fu ceduto al Torino, allenato da Nereo Rocco, per 300 milioni di lire, all’epoca cifra record per un giocatore di soli 21 anni.

Fu soprannominato “farfalla”, con allusione al suo stile di gioco e ai suoi costumi anticonformisti (era notoria la sua convivenza more uxorio con una donna separata), e “beatnik del gol”, per i suoi interessi artistici e il suo stile da “capellone”. Alcuni tifosi lo chiamavano “Calimero”.

Con il centravanti Nestor Combin formò una coppia d’attacco di alto livello.

Le voci insistenti di un suo passaggio alla Juventus, per 750 milioni di lire, scatenarono una specie di “insurrezione” popolare e il presidente Orfeo Pianelli, sotto la pressione della piazza, rinunciò.

Nel 1967 a San Siro, dopo uno dei suoi famosi slalom, con un pallonetto dal limite dell’area, finito all’incrocio dei pali della porta nerazzurra, interruppe l’imbattibilità casalinga della “Grande Inter” di Helenio Herrera, costringendo i nerazzurri alla sconfitta, dopo 3 anni di risultati utili.

Nazionale

La prima convocazione in Nazionale fu in occasione della partita di qualificazione con la Polonia, nel 1965.

Mise a segno la prima rete in maglia azzurra a Bologna, il 14 giugno 1966, marcando il 6º gol di Italia-Bulgaria 6-1, partita amichevole di preparazione al Mondiale.

Segnò un gol anche nell’altra amichevole Italia-Argentina, disputata a Torino 8 giorni dopo e conclusasi con una vittoria azzurra per 3-0.

Partecipò alla sfortunata spedizione, guidata dal commissario tecnico Edmondo Fabbri, ai Mondiali di Inghilterra del 1966, culminata con la sconfitta contro la Corea del Nord per 0-1 e l’eliminazione al 1º turno. Per le continue divergenze con il tecnico, Meroni giocò solo la seconda partita, contro l’URSS.

La tragedia

La sera del 15 ottobre 1967 – dopo l’incontro contro la Sampdoria, vinto dai granata per 4-2 – Meroni non poté rientrare in casa, poiché non aveva le chiavi. Insieme a Poletti andò al bar Zambon e telefonò a degli amici presso i quali si trovava la sua compagna; riattraversò, sempre con Poletti, corso Re Umberto nei pressi del civico 46; percorsero la prima metà della carreggiata e si fermarono in mezzo alla strada, aspettando il momento buono per completare l’attraversamento.

Vedendo sopraggiungere un’automobile, fecero un passo indietro e furono investiti da una Fiat 124 Coupé proveniente dalla direzione opposta; Poletti fu colpito di striscio; Meroni, investito alla gamba sinistra, fu sbalzato in aria dall’impatto, cadde a terra nell’altra corsia e fu travolto da una Lancia Appia, che lo centrò in pieno e ne trascinò il corpo per 50 metri.

Fu portato all’ospedale Mauriziano da un passante; vi arrivò con gambe e bacino fratturati e con un grave trauma cranico.
Morì poche ore dopo, alle 22:40.

La Fiat 124 Coupé era guidata da Attilio Romero, allora diciannovenne di buona famiglia, grande tifoso del Torino e futuro presidente della squadra. Dopo l’incidente, il giovane si presentò spontaneamente alla Polizia, che lo interrogò fino a tarda notte. Fu rilasciato e tornò a casa: abitava proprio in corso Re Umberto, a soli 13 numeri civici di distanza dall’abitazione di Meroni. Romero nel giugno 2000 divenne presidente del Torino.

Più di 20.000 persone parteciparono ai funerali di Meroni e il lutto scosse la città. Dal carcere Le Nuove di Torino alcuni detenuti fecero una colletta per mandare fiori.

La stampa sembrò perdonargli le bizzarrie che gli aveva contestato in vita (capelli lunghi, barba incolta, calze abbassate), ma l’arcidiocesi di Torino si oppose al funerale religioso di un “peccatore pubblico” e criticò aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio, che lo celebrò comunque.

Meroni conviveva con Cristiana Uderstadt, figlia di giostrai, ancora sposata con un regista romano, sebbene in attesa di annullamento del matrimonio da parte della Sacra Rota (in Italia non era stato ancora introdotto il divorzio).

Dopo la morte

Monumento in granito rosso eretto dal Comune di Torino nel 2007, quarantennale della morte, nel luogo dove venne investito Gigi Meroni

La settimana dopo il funerale, il Torino affrontò la Juventus. Nel silenzio di entrambe le tifoserie, un elicottero inondò il campo di fiori, che furono raccolti sulla fascia destra, dove giocava Gigi Meroni.

Nestor Combin, grande amico di Meroni, insistette per giocare, nonostante la febbre che lo aveva colpito pochi giorni prima. Segnò, su punizione, al 3º minuto e raddoppiò al 7º; firmò una tripletta al 15º della ripresa. Il 4º gol fu opera di Alberto Carelli, il nuovo numero 7, succeduto a Meroni.

Resta il miglior risultato ottenuto dal Torino in un derby dal “dopo Superga” e vendicò, in senso sportivo, i 7 derby senza vittorie giocati da Meroni.

Il Torino chiese all’assicurazione di Romero un risarcimento per i danni causati dalla perdita del giocatore. All’epoca era un fatto quasi inedito e i precedenti tentativi (sempre del Torino, dopo Superga) erano stati respinti dai giudici, che non riconoscevano il plusvalore rappresentato dall’investimento di una società sportiva in un giocatore di classe. La sentenza del 1971 dispose il risarcimento e marcò uno storico cambiamento di giurisprudenza in tema di risarcimenti per responsabilità civile nei sinistri stradali.

Due mesi dopo, a fine dicembre dello stesso anno, la tomba di Meroni, nel Cimitero Monumentale di Como, fu profanata, nottetempo, da uno squilibrato di Oleggio, un trentaquattrenne, che non riusciva a superare il dolore della perdita. L’uomo aprì la bara, asportò il fegato del giocatore e di persona lo consegnò, alcuni giorni dopo, agli allibiti poliziotti della Questura locale. Viti fu immediatamente rinchiuso in manicomio.

Nel 2007, 40º anniversario della morte, il Comune di Torino collocò un monumento commemorativo sul luogo dell’incidente.

i funerali di Gigi Meroni
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