Il 13 marzo 1945 rappresenta una delle pagine più buie della Resistenza italiana a Torino. In quella data, le Brigate Nere perpetrarono un feroce eccidio che colpì la famiglia Arduino, un nucleo profondamente impegnato nella lotta contro l’occupazione nazifascista. La violenza della repressione colpì anche altri civili, lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva della città.
La famiglia Arduino e l’impegno nella Resistenza
Gaspare Arduino, operaio della FIAT, era noto per il suo attivismo antifascista. Insieme alle sue figlie, Vera e Libera, aveva scelto di sostenere la lotta partigiana, contribuendo con azioni di supporto alla resistenza locale. Il loro impegno li rese bersaglio della furia repressiva delle Brigate Nere, che, in un periodo in cui il regime nazifascista stava crollando, intensificarono la loro azione brutale contro i partigiani e i loro sostenitori.
Il rastrellamento e l’eccidio
Il 13 marzo, Gaspare Arduino e le sue figlie furono prelevati con la forza dalla loro abitazione in via Moncrivello 1, nel quartiere Barriera di Milano. La loro colpa? Essere parte di quel movimento di resistenza che stava portando l’Italia verso la liberazione. Dopo il sequestro, Gaspare fu giustiziato immediatamente. Vera e Libera, invece, vennero condotte nei pressi del canale della Pellerina, dove trovarono una morte violenta per mano delle forze fasciste.
L’orrore di quella giornata non si limitò alla famiglia Arduino. Pierino Montarolo, un vicino di casa, venne anch’egli assassinato, mentre Alberto Ellena, un altro ospite presente nell’abitazione, riuscì miracolosamente a sopravvivere nonostante le gravi ferite riportate.
Un ricordo che non si spegne
L’eccidio della famiglia Arduino è un monito contro l’oppressione e la brutalità del regime fascista negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi, la memoria di questa tragedia viene onorata a Torino, con cerimonie e iniziative che ricordano il sacrificio di Gaspare, Vera e Libera, simboli di un’Italia che ha lottato per la libertà e la democrazia.
La loro storia è parte di un patrimonio collettivo che deve essere custodito e tramandato, affinché il passato non venga dimenticato e affinché simili atrocità non abbiano mai più a ripetersi.
